“DA BIELLA A RAVARINO UNA STORIA DI SUCCESSO”: SERATA IN INTERCLUB CON CARLO RIVETTI

I tifosi canarini lo conoscono dal 2021 come Presidente del Modena FC, il resto del mondo come grande imprenditore del settore tessile: è Carlo Rivetti, che giovedì 2 maggio è stato ospite di una serata in Interclub organizzata dal L.A. Muratori, con la partecipazione del nostro club, del Castelvetro Terra dei Rangoni, del Rotaract Club Modena e dell’eClub Emilia.
Carlo Rivetti è un bocconiano e proviene da una famiglia che ha radici profonde nel settore tessile industriale: “sono cresciuto a pane e vestiti”, ha esordito davanti ad una folta platea, per sottolineare che i suoi sogni di bambino si sono poi realizzati, e per questo si sente fortunato.
La storia dell’azienda Rivetti inizia a Biella attorno al 1870 e, come ci ha raccontato, suo padre Silvio ha rivoluzionato il mondo della moda italiana e del prêt-à-porter introducendo in Italia, dopo un periodo trascorso negli Stati Uniti, il sistema delle taglie e fondando, insieme ai fratelli, la prima azienda che ha prodotto e distribuito nel mondo le grandi firme della moda, come Armani e Valentino.
Carlo Rivetti è entrato nel gruppo nel 1975 e subito dopo ha rilevato il marchio CP Company: tutto nasce da un’intuizione, che lo porta ad abbinare alla vita quotidiana un abbigliamento più sportivo, ma sempre di alto livello nei materiali utilizzati: “ho studiato alla Bocconi, e guardavo come si vestivano le ragazze e i ragazzi che frequentavano l’università: la scarpa da tennis era una costante, e l’abbigliamento riprendeva quello con cui noi andiamo in palestra. Mi sono detto “questa generazione cambierà il proprio modo di vestirsi”, e quindi dalle giacche formali e dalle cravatte abbiamo virato verso il non formale, quello che adesso chiamiamo casual.”
Cercando aziende italiane orientate a questo tipo di produzione – siamo nel 1982 – ne trovano 2: la Benetton e la CP Company, azienda guidata da Massimo Osti che firmava i suoi capi col marchio Stone Island, sulla quale concentrano la propria attenzione. Il tessuto di esordio della Stone era detto “tela stella”, ed era utilizzato per i teloni del camion.
“Decidere di fare un giubbotto con i teloni del camion poteva sembrare una pazzia, da vedere era veramente brutto – ha ricordato Rivetti – e allora decidemmo di metterlo in macchine apposite, trattandolo con pietra pomice per 3 ore. Il risultato? Una schifezza! Poi il colpo di fortuna: ci dimentichiamo il tessuto in macchina per una notte intera, e alla mattina il risultato era il tessuto che conosciamo ora! Da lì decidemmo di fare una collezione di 7 capi spalla: un tessuto, 6 colori (in realtà 12, era bifacciale) e fu un successo strepitoso.”
Nel 1993 Rivetti acquista con la sorella Cristina il 100% dell’azienda, chiamandola Sportswear Company, e da qui inizia il legame con il territorio modenese: Ravarino diventa la capitale della ricerca su tessuti, colori, sostenibilità e i prodotti con il distintivo volano.
“Ogni giorno è una sfida, le mie persone sono le prime a spingere – ci ha raccontato con orgoglio Rivetti – e se per un po’ di tempo non ci sono novità si preoccupano perché, dicono, la parola impossibile non fa parte del DNA della nostra azienda. Dico sempre che io non mi sento di lavorare nella moda… io lavoro nel design industriale; e non faccio vestiti, faccio opere di ingegneria, fra tinture, trattamenti, materiali usati.”
Come quella volta che dà l’incarico di analizzare un pezzettino di tessuto che si era trovato fra le mani e che non conosceva: si trattava di un foglio leggerissimo di nylon, con sopra una spalmatura 100% acciaio inox. Partono le ricerche per risalire a chi lo produce, e scoprono che si tratta di un anziano signore giapponese.
“Aveva già un grosso cliente, ma dopo molte trattative lo convinciamo a fornirci del tessuto – ha ricordato sorridendo Rivetti – e produciamo giacconi 100% acciaio inox. Ne vendiamo un discreto quantitativo…torniamo da lui e gli chiediamo 15 mila metri. E lui: “Ma quanti areoplani avete??”: il suo cliente principale era la Boeing e quel tessuto veniva utilizzato per coprire i computer di bordo sugli areoplani!”
In chiusura della serata un commento, su richiesta, rispetto al perché del suo impegno nel Modena Calcio: “mi trovavo in un momento di…ridondanza finanziaria, ho sentito Romano Sghedoni…ho pensato che – divisi in casa fra milanisti e interisti – sarebbe stata un’ottima opportunità per la famiglia per tifare tutti la stessa squadra. E così è iniziata l’avventura!”
In effetti la società canarina, slegata dalle altre attività, può essere davvero considerata la squadra di famiglia: vi lavorano i figli Matteo e Silvio, la nuora Ilaria, il nipote Mattia.

Francesca Abbati Marescotti

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