RESOCONTO DELLA SERATA DEL 20 FEBBRAIO 2018

Ci ritroviamo alla Società del Sandrone per una serata interna dove seguendo la tradizione di fare parlare i soci entrati da poco tempo nel nostro Club il Presidente Cesare Brizzi ha passato la parola al nostro socio Pietro Cantore che, dopo le fatiche ed i successi dell’ultima edizione di Modena Antiquaria, ci presenta la sua attività e ci parla di antiquariato. Riportiamo di seguito uno stralcio della sua relazione.

 

Modena: arte e mercato

 

La devoluzione di Ferrara, Cesare d’Este e Modena capitale

Con la bolla Prohibitio alienandi et infeudandi civitates et loca Sanctae Romanae Ecclesiae, emanata da papa Paolo V il 3 maggio 1567, si pongono le condizioni preliminari alla devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa, avvenuta poi nel 1598: da questo momento solo i figli legittimi hanno diritto a ereditare il feudo (Ferrara, diversamente da Modena e Reggio, è sempre stata un feudo pontificio).

Al Duca Alfonso II, morto il 27 ottobre 1597 senza eredi diretti, succedette Cesare d’Este, figlio di Alfonso d’Este, marchese di Montecchio, che a sua volta era figlio naturale del Duca Alfonso I e della sua amante Laura Dianti.

La legittimità della successione fu riconosciuta dall’imperatore Rodolfo II, ma non dal papa Clemente VIII, il quale decise di riprendersi Ferrara.

Il Duca chiese aiuto alle principali potenze europee ottenendo solo promesse e tentò un difficile dialogo con il papa. Mandò come ambasciatrice della trattativa la cugina Lucrezia d’Este, sorella di Alfonso II, che desiderava vendetta sull’intera famiglia d’Este da quando suo fratello Alfonso fece uccidere il suo amante, conte Ercole Contrari: Lucrezia non trattò col papa e accettò subito le condizioni di Clemente VIII che fu irremovibile, riprese Ferrara e scomunicò Cesare d’Este.

La scomunica di Cesare causò uno shock popolare: le chiese di Ferrara furono interdette e le delizie estensi rase al suolo (Belvedere) o depredate e trasformate in fattorie (Belriguardo): l’intento del papa fu di operare una vera e propria damnatio memoriae, eliminando tutti i simboli e i monumenti del potere degli Este.

Il 30 gennaio 1598 Cesare entrò a Modena, nuova capitale.

Al momento della devoluzione di Ferrara, Modena era un paesotto di circa 20mila abitanti, totalmente inadeguato al nuovo ruolo di capitale, e la cui economia si fondava principalmente sulle manifatture tessili della lana e sull’industria agricola del baco da seta, oltre all’esportazione dei vini bianchi e rossi, dei salumi, dei bestiami e dell’acquavite.

Ad aggravare la situazione, con la perdita di Ferrara e delle zone limitrofe, si aggiunse un calo notevole nella produzione di cereali, che in precedenza copriva i 2/3  del fabbisogno della popolazione del Ducato.

Oltre alla crisi commerciale bisognava far fronte anche all’inadeguatezza della residenza ducale a Modena: l’antico e fatiscente castello medievale estense, di certo non adatto a rappresentare il nobile casato in cerca di rilancio economico e sociale.

Inoltre bisogna considerare che quando gli Este arrivarono a Modena, perdettero gran parte delle opere d’arte che avevano fatto di Ferrara una grande capitale: Cesare d’Este, infatti, a Ferrara viveva a Palazzo dei Diamanti, da cui portò a Modena l’archivio estense, che rappresentava l’identità del casato e insieme la proprietà, il possesso e il diritto al potere; inoltre trasferì il suo studiolo, i suoi libri e vari dipinti tra cui le tele dei Carracci oggi in Galleria Estense.

Lasciò purtroppo a Ferrara i dipinti che erano presenti nel castello estense: i capolavori commissionati da Alfonso I a Tiziano (Baccanali) e a Dosso Dossi per il suo studiolo di Ferrara divennero di proprietà del pontefice, molti altri dipinti estensi andarono rubati.

Possiamo comunque pensare a Modena a inizio Seicento come a un laboratorio straordinario, proprio perché totalmente da reinventare.

Inoltre vi era da sempre nel DNA degli Este la forte consapevolezza della potenza e dell’influenza della propria dinastia in Europa. Gli estensi nutrivano anche un sentimento di rivalsa nei confronti del destino loro e dei Medici, diretti rivali di sempre, che divennero Granduchi quando loro persero la capitale e si trovarono con uno stato da ricostruire da capo.

L’obiettivo era dunque quello di ricreare una potenza, sia dal punto di vista economico e commerciale, sia dal punto di vista delle alleanze strategiche e del prestigio sociale, sia nell’immaginario collettivo dei propri sudditi.

In questo clima, dopo l’abdicazione di Alfonso III dopo appena un anno di regno (era dedito alla caccia e nel 1629 si fa frate cappuccino con il nome di Giambattista d’Este), nel 1629 diventa Duca Francesco I, a soli 18 anni.

 

Francesco I d’Este

Francesco I dovette subito affrontare una tremenda epidemia di peste nei primi anni ’30. Al termine di questa sposò Maria Farnese e iniziò a stringere amicizie importanti presso le maggiori corti europee per risollevare la potenza e il prestigio del casato.

Nel ’34-’35, al termine della grande peste, la sua idea fu quella di disporre una serie di costruzioni: impostò il Palazzo Ducale, che avrebbe sostituito l’angusto castello estense.

Diede avvio alla costruzione del Palazzo cittadino e a quello suburbano di Sassuolo, fece costruire il Santuario mariano fuori città, a Fiorano, per devozione alla Vergine grazie alla quale il popolo era uscito dall’epidemia. L’intenzione di Francesco I fu di apparire agli occhi del suo popolo come un grande architetto, un “buon costruttore”, simile a Dio.

Francesco I cercò anche attraverso le arti di glorificare ed esaltare come un vero re la propria figura di sovrano. Durante gli anni del suo ducato si fece ritrarre, tra gli altri, da Guercino, Velazquez e Bernini.

 

I ritratti

1. Guercino, Ritratto di Francesco I d’Este Duca di Modena, 1632. Fu commissionato dal Duca insieme al ritratto della moglie Maria Farnese e pagato al pittore 630 scudi il 31 maggio 1633. Il Duca lo regalò al re di Spagna Filippo IV in occasione della sua visita a Madrid nel 1638.

Francesco ha l’aspetto posato, è in piedi appoggiato a una balaustra – probabilmente del castello estense – e ha alle spalle la Ghirlandina, segno di riconoscimento della nuova capitale. Francesco I prefigura l’ambizione di uno skyline estense, ovvero il Palazzo Ducale, che verrà in uso negli anni ’80-’90 dopo la sua morte (1656).

La stessa idea di solennità è visibile anche nel ritratto pendant della moglie del Duca Maria Farnese, che tiene la mano destra poggiata su un paio di eleganti guanti marroni, da sempre simbolo del potere.

Al museo di Ginevra sono conservate le copie dei due dipinti, attribuite a Matteo Loves.

2. Nella stessa occasione Francesco I si fece ritrarre da Velazquez in abiti spagnoli (tra il 1638 e il 1639). Francesco I si trovava ospite dei reali di Spagna e Velazquez lavorava in via pressoché esclusiva per la corte di Filippo IV, eccellendo in particolare nella ritrattistica.

Francesco è colto di tre quarti, armato come un condottiero spagnolo, con il colletto stretto, la fascia e sotto la collana del toson d’oro (il vello d’oro, un agnello, in ricordo delle imprese degli Argonauti). Il metallo baluginante e la fusciacca rosa sono resi da liquidi colpi di pennello, in modo tizianesco e a tratti compendiario: forse il dipinto nacque come bozzetto per un più grande ritratto equestre mai realizzato per via dell’incrinatura dei rapporti tra spagnoli ed Estensi, nel frattempo alleatisi con i francesi.

3. Bernini, che aveva già dato consigli sulla costruzione del palazzo ducale cittadino e fornito alcuni progetti a Bartolomeo Avanzini per quello di Sassuolo, venne incaricato da Francesco I di scolpire un busto con il suo ritratto nel 1650.

Alla base di questa richiesta da parte di Francesco I vi è il concetto di regalità. Bernini aveva riscattato il genere del ritratto scolpito dopo un secolo in cui era stato bistrattato: Michelangelo aveva infatti tacciato la ritrattistica di piccolezza, tant’è che nelle cappelle medicee i suoi marmi appaiono totalmente idealizzati. Oltre a rilanciare totalmente il genere, Bernini era all’epoca il maggiore scultore in circolazione, artista prediletto del papa, che aveva già ritratto i massimi sovrani europei, e un suo ritratto avrebbe rilanciato l’immagine di Francesco I a livello globale.

Bernini, che al tempo non poteva spostarsi da Roma e che non vide mai dal vivo Francesco I, lo dovette ritrarre sulla base di un alcuni dipinti che il duca gli fece recapitare. L’artista oppose molte resistenze all’impresa che lui stesso reputava “quasi impossibile” e che riferì in seguito il suo “voto solenne” di non operare più in tal modo. Bernini completò l’opera tra il 1650 e il 1651, accompagnando il busto da una lettera di spiegazioni e di scuse anticipate per l’eventuale non somiglianza del ritratto, senza nominare il pagamento, prassi che si addiceva ai grandi umanisti.

Francesco I ebbe allora l’intuizione che con il principe degli artisti avrebbe dovuto usare il regime del dono, come in precedenza aveva già fatto Carlo I d’Inghilterra, che donò a Bernini un anello di diamanti per il suo busto marmoreo.

Il Duca fece riferire a Bernini di aver mandato 3000 scudi (la cifra che costò a Innocenzo X la Fontana dei Fiumi) per l’acquisto di un regalo adeguato, ma che l’artista poteva anche prendere il denaro, se preferiva. Bernini optò per il denaro, sottolineando come il valore di quel dono fosse un segno di generosità “più che reale” della casa d’Este. Così Francesco I guadagnò la magnificenza.

Ai tempi di Francesco I la collezione, dopo aver radunato dai territori estensi vari capolavori tra cui diversi dipinti di Correggio e dei Carracci, era già divenuta una delle più importanti della penisola. La sua idea era di riunire nella sua quadreria le tre scuole pittoriche del tempo: lombarda, veneziana e romana, infatti cercò per anni di portare anche un Raffaello a Modena. Il Duca morì nel 1658, ma anche i suoi successori incrementarono le collezioni d’arte attraverso un collezionismo molto vario, non solo di dipinti, ma anche di disegni, sculture, strumenti musicali (Francesco II in particolare), oggetti e manufatti che fanno parte della sfera delle cosiddette arti applicate e che sono andate negli anni a costituire una raccolta particolarissima per la sua varietà e ricchezza, molto ammirata anche a inizio ‘700 dai viaggiatori del Gran Tour.

 

La vendita di Dresda

Nel 1737 il Duca Francesco III fece sistemare la collezione dei quadri nelle sale dell’ala est del palazzo ducale ordinandoli con criteri espositivi e di allestimento che ne fecero una galleria chiara e definita.

Due anni dopo la galleria venne visitata durante un Gran Tour da Charles de Brosses, che la descrisse come “la più bella galleria che ci sia in Italia (…) la meglio tenuta, la meglio distribuita e la meglio ornata”.

Durante la guerra di successione austriaca, Francesco III divenne comandante delle truppe spagnole in Italia e si trovò a fronteggiare una vasta campagna militare austro-piemontese in Val padana che portò nel 1742 all’occupazione di Modena,

Le pesanti spese militari, oltre al mantenimento della corte riparata a Venezia durante la guerra, portarono il Ducato in uno stato di profondo indebitamento.

La Galleria venne trasferita in differenti luoghi durante l’occupazione e venne meticolosamente compilata una catalogazione di tutte le opere, forse pensata come base per le trattative di cessione di una parte più o meno importante della sua collezione.

Augusto III, elettore di Sassonia, uomo divenuto tra i più potenti e ricchi d’Europa, volle decorare la sua vecchia capitale, Dresda, trovando l’accordo per la vendita di 100 quadri famosi, tra i pezzi più importanti della Galleria, che furono acquistati per la notevole cifra di 100.000 zecchini nel 1746.

Tra le opere vendute vi erano capolavori di Annibale Carracci, Correggio, Battista e Dosso Dossi, Garofalo, Guercino, Parmigianino, Tiziano, Velazquez, Veronese, Holbein il giovane, Rubens, Guido Reni…

Al termine della brillante ed interessante relazione che Pietro ha accompagnato con delle diapositive e risposto alle numerose domande da parte dei soci il Presidente Cesare dopo averlo ringraziato e prima di chiudere la serata ha ricordato i programmi futuri del club ed ha riunito il Consiglio Direttivo.

 

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